Archivi categoria: Bonsai tecniche sofisticate

Nella categoria Bonsai tecniche sofisticate troveranno posto delle lavorazioni sia su piante “vergini”, sia su Bonsai che hanno necessità di un “Restyling”.
In questa sezione inoltre si potrà assistere a delle tecniche sofisticate non molto semplici, ma di possibile attuazione. A presto,
Armando e Haina Dal Col

Larice abbarbicato sulla roccia nello stile Ishi-Zuki.

Larice abbarbicato sulla roccia nello stile Ishi-Zuki.

Esistono tre forme fondamentali di Bonsai su roccia: Ishi-Zuki, Insho Gata-Ishi e Sekijoju.
Lo stile Ishi Zuki simula uno scenario roccioso alpestre o marino, dove i venti e le acque plasmano sia le rocce che gli alberi, ma può rappresentare anche quieti paesaggi rocciosi.
In questo stile, il sistema radicale viene collocato nelle cavità della roccia stessa e poiché essa funge da contenitore è necessario farci stare il maggior quantitativo di terriccio possibile, poiché gli alberelli non andranno mai più rimossi.
E’ chiaro che la roccia prescelta deve avere “carattere” e movimento; questa, oltre a rappresentare uno scoglio, una montagna, un’isola, un litorale aspro e roccioso, una forma bizzarra o antropomorfa o un tronco bitorzoluto imponente, deve avere una dimensione adeguata per sostenere
una o più piante e che armonizzi con l’albero principale a cui è destinata.
La roccia come l’albero, ha una sua parte frontale che la rende particolarmente interessante, e così pure l’apice e gli altri lati che creino una
prospettiva tridimensionale. In ognuna di queste superfici di maggior interesse è preferibile evidenziare la nudità della roccia, lasciando ampie zone prive di vegetazione.
Pini, ginepri, larici, aceri, frassini, olmi, fichi, sono sicuramente gli alberi più adatti, ma molte altre sono le essenze usate negli stili su roccia.
Si potranno inserire in punti sparsi delle piantine secondarie, erbacee perenni adatte e vari tipi di muschi dai colori policromi in modo da formare un insieme armonioso e naturale.
Si procederà piantando l’albero principale già abbastanza formato, liberando le radici dal terriccio di coltivazione; la pianta deve avere un apparato radicale molto contenuto e forte. Prima di fissare definitivamente l’albero con il filo, va controllata la posizione considerando il fronte, la disposizione delle radici, l’inclinazione, la disposizione dei rami rispetto alla parete rocciosa, più altri elementi secondari, comunque facilmente modificabili.

La pianta presa in esame per questo ishi-zuki è un piccolo larice, mentre la pietra è pura dolomia che ben rappresenta un picco dolomitico.
Si è scelto un vaso basso ovale dove appoggiare la pietra, e poiché ha un aspetto verticale è stato necessario ancorarla per non farla cadere.
Questo ishi-zuki ebbe inizio il mese di ottobre del 2013, e con l’aiuto di mia moglie Haina l’abbiamo portato a termine.
Dopo un paio d’anni, lasciato libero di vegetare, in questi giorni di novembre l’ho ripreso per risistemare alcuni rametti, poiché nel frattempo si è ben consolidato sulla roccia.
Vediamo alcune immagini del primo step del 2013, ed altre nel 2015.
Buona visione da Armando e Haina.

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Pino mugo diviso in due mediante la separazione delle radici lavorato alla Giareda.

Pino mugo diviso in due mediante la separazione delle radici lavorato alla Giareda.
Testo e foto di Armando Dal Col

Settembre 2015 dimostrazine alla Giareda di Reggio Emilia (25)

Vale la pena riprendere questo post per seguirne l’evoluzione di uno dei due pini separati alla base della pianta madre, lavorato alla Giareda il 6 settembre 2015.
La storia di questo pino mugo è piuttosto recente, e quello che lo caratterizza sono le due forze opposte. Infatti, alla base del tronco sembra che si siano unite due piante, una con un unico tronco tendenzialmente prostrato munito di un palco terminale a “cuscino”, mentre l’altra si suddivide in più tronchi muovendosi in direzione opposta. Utilizzando tutta la pianta diventerebbe necessario selezionare dei rami per creare un Bonsai credibile ma anche contenuto, e questo farebbe cadere la scelta su una o l’altra direzione, sacrificando così dei rami importanti. L’idea nata fin dall’inizio era concentrata sulla possibilità di dividere il pino mugo alla base ottenendo due piante, e questo naturalmente senza pregiudicare la vita di entrambe. Ma le azioni da fare non sono così semplici come le idee, poiché dividere la pianta significa correre dei seri rischi per la sopravvivenza della stessa. Questo problema è stato affrontato anticipando il rinvaso del pino mugo prima che producesse troppe radici che avrebbero aumentato la difficoltà nel separarle. Infatti, dopo la rimozione della pianta dal grande vaso in cui era stato inserito due anni prima nel post espianto, Haina ed io ci siamo messi all’opera controllando meticolosamente l’apparato radicale e la sua possibilità nel dividere la pianta. Una grossa radice avvolgeva la base del ramo prostrato interessante, il quale era ancorato a sua volta con una robusta radice alla base dell’arbusto. Trepidanti e fiduciosi ci siamo messi all’opera per cercare di separare la pianta, ponendo la massima attenzione che entrambe fossero munite di sufficienti radici. E così avvenne!
Ed ora la parola alle immagini.

Pino mugo visto nel 2011, è stata parzialmente coperta la base della pianta per ridurre il quantitativo d’acqua a causa delle frequenti precipitazioni piovose.

Foto prima del rinvaso. Pino mugo fotografato in agosto del 2012 ad avvenuto attecchimento. Sono visibili dei robusti tiranti a vite per avvicinare due grossi rami.

Foto prima del rinvaso. La base del pino mugo offre la possibilità di dividere la pianta utilizzando due entità distinte.

Foto prima del rinvaso. La pianta vista nella sua interezza.
Foto 1. 15 aprile 2013, la pianta è stata svasata dal grande vaso che l’ospitava. Si notano delleradici sottili nella circonferenza perimetrale del substrato.

In questa immagine si ha la netta sensazione delle due forze opposte che esprime questo pino mugo.

L’immagine della pianta vista in questa angolazione non lascia dubbi, quale parte andrebbe rimossa tenendola integra?

La pianta madre si è “slegata” del figlio rimasto troppo a lungo avvinghiato. Ora è cresciuto sufficientemente per avere una vita autonoma.

La pianta è stata capovolta e appoggiata momentaneamente sul vaso per agevolare le infiltrazioni con ormoni fito radicanti, iniettati lungo l’asse della radice

Terminato il rinvaso, ho dovuto puntellare il tronco nella posizione desiderata. In questa immagine la contro conicità del tronco è assente, e questo sarà sicuramente il fronte più appropriato per il futuro Bonsai.

Ed ora alcune immagini della lavorazione del pino mugo che Haina ed io, abbiamo eseguito domenica 6 settembre alla Giareda di Reggio Emilia in occasione della mostra nazionale di Bonsai e Suiseki nella competizione Istruttori a confronto.
Enjoy

Mugo dal tronco doppio alla base (1)

Separazione delle radici del pino mugo (2)

Separazione delle radici del pino mugo (8)

Separazione delle radici del pino mugo (11)

Separazione delle radici del pino mugo (16)

Separazione delle radici del pino mugo (17)

Settembre 2015 dimostrazine alla Giareda di Reggio Emilia (1)

Settembre 2015 dimostrazine alla Giareda di Reggio Emilia (2)

Settembre 2015 dimostrazine alla Giareda di Reggio Emilia (3)

Settembre 2015 dimostrazine alla Giareda di Reggio Emilia (4)

Settembre 2015 dimostrazine alla Giareda di Reggio Emilia (5)

Settembre 2015 dimostrazine alla Giareda di Reggio Emilia (6)

Settembre 2015 dimostrazine alla Giareda di Reggio Emilia (7)

Settembre 2015 dimostrazine alla Giareda di Reggio Emilia (8)

Settembre 2015 dimostrazine alla Giareda di Reggio Emilia (9)

Settembre 2015 dimostrazine alla Giareda di Reggio Emilia (10)

Settembre 2015 dimostrazine alla Giareda di Reggio Emilia (11)

Settembre 2015 dimostrazine alla Giareda di Reggio Emilia (12)

Settembre 2015 dimostrazine alla Giareda di Reggio Emilia (13)

Settembre 2015 dimostrazine alla Giareda di Reggio Emilia (14)

Settembre 2015 dimostrazine alla Giareda di Reggio Emilia (15)

Settembre 2015 dimostrazine alla Giareda di Reggio Emilia (16)

Settembre 2015 dimostrazine alla Giareda di Reggio Emilia (17)

Settembre 2015 dimostrazine alla Giareda di Reggio Emilia (18)

Settembre 2015 dimostrazine alla Giareda di Reggio Emilia (19)

Settembre 2015 dimostrazine alla Giareda di Reggio Emilia (20)

Settembre 2015 dimostrazine alla Giareda di Reggio Emilia (21)

Settembre 2015 dimostrazine alla Giareda di Reggio Emilia (22)

Settembre 2015 dimostrazine alla Giareda di Reggio Emilia (23)

Settembre 2015 dimostrazine alla Giareda di Reggio Emilia (24)

Settembre 2015 dimostrazine alla Giareda di Reggio Emilia (25)

Settembre 2015 dimostrazine alla Giareda di Reggio Emilia (26)

Settembre 2015 dimostrazine alla Giareda di Reggio Emilia (27)

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Margotte di Acero tridente nelle fasi pre e post separazione.

Margotte di Acero tridente nelle fasi pre e post separazione.

Queste margotte sono state preparate per un periodo di tre anni da piccoli rami che uscivano dal tronco dell’acero. La ramificazione compatta e piacevole alla vista dava la sensazione di vedere in questi rametti degli pseudo alberelli. Ecco perché in gennaio di quest’anno 2015 decisi di praticare la margotta ai rami. La difficoltà di margottare il tronchetto alla base era piuttosto difficoltosa in quanto non c’era lo spazio necessario per praticarla con la solita tecnica a “caramella”, ecco perché ho scelto la tecnica del passante utilizzando delle giovani piantine fatte da seme.
A fine agosto e cioè oggi 27.08- 2015, delle cinque margotte che feci in gennaio, ben quattro erano pronte per la separazione. Vediamo alcune fasi della lavorazione con l’avvenuta separazione delle 4 margotte.
Enjoy!

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Tecniche per una margotta su Acero Butterflay.

Tecniche per una margotta su Acero Butterflay mediante l’innesto.

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La particolarità di questo acero è rivolta particolarmente al suo fogliame variegato nelle varie tonalità, le cui foglie assumono le sembianze di graziose farfalle. La riproduzione di questo acero avviene principalmente per innesto, mentre per talea ha poco successo e così pure per margotta.
Come Bonsai lo si riscontra molto raramente fra i professionisti, ma poiché io sono una persona che ama “le sfide” desidero inserirlo nella mia collezione. E per questo ho usato una giovane piantina di acero fatto da seme per inserirlo nel ramo da margottare come fosse il “porta innesto”.

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Larix decidua battezzato “Inshogataishi Tanuki”.

Larix decidua battezzato “Inshogataishi Tanuki”.

Larice foto 8

La storia di questo larice è già in parte conosciuta, merita tuttavia seguirne alcune fasi di sviluppo iniziali, fino all’aspetto attuale e cioè il primo dicembre 2014.
Avevo trovato vicino ad un torrente un ceppo dal tronco serpeggiante, e poiché non era troppo voluminoso lo misi nel mio zaino pensando di poterlo utilizzare come supporto per una pianta.
Il ceppo era ancora parzialmente ricoperto di corteccia, identificabile con il pino mugo.
Sicuramente era una pianta sradicata e finita a valle dalle acque impetuose partita chissà dove.
Questo ceppo quand’era in vita avrebbe attirato lo sguardo di chiunque l’avesse incontrato, e sicuramente qualche amatore di Bonsai in cerca di Araki avrebbe trovato l’albero dei suoi sogni.
La Natura è davvero maestra, e noi dovremmo accostarci a Lei in silenzio e con umiltà per apprendere i suoi insegnamenti.
Ho scelto questo larice per tre motivi: forma del tronco e dimensioni dell’albero; una radice alta adatta ad abbracciare la roccia che andrà inserita nel ceppo per simulare un aspetto più selvaggio; ed infine le proporzioni che mi sembrano adeguate in tutti i suoi elementi.
La radice che abbraccerà la roccia simulerà –con il tempo-, una visione naturale e, nello stesso tempo, la pietra darà l’impressione di un tronco nodoso. Da qui il nome di inshogataishi. L’aggiunta del nome Tanuki che come si ricorderà significa “falso”, è in parte giustificabile poiché il ceppo non appartiene alla pianta viva.
Lo stile Insho-Gata-Ishi si differenzia dallo stile Ishi Zuki per avere come supporto una roccia dalla forma caratteristica simile a quella di un vecchio e possente tronco nodoso simulando continuità del tronco.

Armando nel sito indonesiano

Foto 56, il ceppo è modellato  e risanato.

Larice foto 8

Larice inshogataishi Tanuki in evoluzione (1)

Larice inshogataishi Tanuki in evoluzione (2)

Larice inshogataishi Tanuki in evoluzione (3)

Larice inshogataishi Tanuki in evoluzione (4)

Larice inshogataishi Tanuki in evoluzione (5)

Larice inshogataishi Tanuki in evoluzione (6)

Larice inshogataishi Tanuki in evoluzione (7)

Larice inshogataishi Tanuki in evoluzione (8)

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Un Faggio dei pascoli a “cuscino” trasformato in un Bonsai.

Un Faggio dei pascoli a “cuscino” trasformato in un Bonsai.

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I faggi che crescono nei pascoli montani sono soggetti ad essere regolarmente “potati” dagli erbivori durante il periodo primaverile. Infatti, le tenere foglioline del faggio sono un piatto molto appetitoso per le mucche, ed è per questo che piante di una certa età assumono un aspetto cespuglioso molto compatto, ed è proprio il caso di questa pianta raccolta in Slovenia da Rado di Trieste, il quale si è rivolto a me specialista dei faggi, affinchè lo modellassi per farne un Bonsai credibile.
La pianta nella sua compattezza a cuscino, presentava un groviglio di rami che lasciava poco spazio all’immagine di un albero, ma grazie all’esperienza nel saper “leggere” una pianta, ben presto individuai l’albericità nascosta tra i rami.
La sequenza delle immagini mostra i vari passi che Haina ed io abbiamo eseguito al fine di realizzare un futuro Bonsai dall’aspetto piacevole e ben armonico. E per questo ci rendiamo disponibili per quanti desiderino affidarci le loro piante “vergini” da modellare.
Buona visione, Armando e Haina

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Faggio 5

Faggio 6

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Faggio 12

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Faggio 15

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Faggio 18

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Pino mugo dall’aspetto “intrigante” modellato domenica 7 settembre 2014 alla Giareda.

Pino mugo modellato a Reggio Emilia alla Giareda.

2014 demo alla Giareda del pino mugo (1)

2014 demo alla Giareda del pino mugo (19)

Non tutte le vecchie conifere hanno delle caratteristiche che attirano immediatamente la nostra attenzione, ma questo pino mugo ha un ramo apicale con una corteccia molto vecchia con jin e shari naturali e molto attraenti. Inoltre, la parte iniziale del tronco è piuttosto accattivante.
Questo pino mugo ha avuto un percorso riabilitativo durato alcuni anni, apportando delle tecniche specifiche che gli hanno permesso di migliorare il suo aspetto vegetativo, intervenendo nel contempo con dei successivi rinvasi che gli hanno permesso di creare un apparato radicale contenuto ricco di capillari attivi.
La pianta è pronta per essere modellata e, in occasione della mostra Bonsai del 6 e 7 settembre alla Giareda a Reggio Emilia, Haina ed io abbiamo modellato il pino mugo nel contesto “Istruttori a confronto”.
Ed ora rivediamo alcune immagini di questo pino mugo visto nel mese di luglio 2014. Seguiranno poi delle altre immagini riprese durante la lavorazione.

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Abete rosso chiamato “Trinità”.

Picea Abies, Abete rosso chiamato “Trinità”.

cellulare +39 349 370 8802 homephone +39 0438 587265

Abete rosso Trinità nel 1990

La storia di questo abete ebbe inizio nel 1990 quando, grazie ad un mio amico-allievo decidemmo di recuperarlo fra le rocce insieme al “suo”. Cresceva stentatamente vicino all’ altro abete più vecchio e bonsaisticamente più attraente già adocchiato e parzialmente potato dal mio amico Fabio, il quale “fremeva” per poterlo recuperare senza danni per favorirne l’attecchimento. E per questo fui invitato per raccoglierli insieme.
Non fu facile espiantarli entrambi cercando di recuperare il maggior numero di radici con molti capillari; il “mio” aveva l’apice completamente secco con un solo ramo vivo diviso in due, mentre alla base cresceva appressato un vecchio ginepro completamente morto e con una porzione del ceppo scheletrico che decisi di trattenere. Le piante furono trasferite separatamente in voluminose casse di legno adeguatamente preparate, praticando delle stimolazioni ormonali sulle radici e sulla parte aerea per favorirne l’attecchimento.
E così avvenne per entrambi gli abeti, ma dopo una decina di anni quello di Fabio morì. Fu un grande dispiacere per entrambi, fortunatamente il mio, malgrado i numerosi interventi effettuati negli anni continua a regalarmi emozioni.
Ma perché l’ho chiamato Trinità? Negli anni quando decisi di prolungare lo shari sul tronco fino alla base perché diritto e poco attraente, sembrava “dividere” la pianta e, con il residuo del ginepro alla base del tronco, otticamente sembrava di ammirare tre unità distinte. Per enfatizzare l’habitat, pensai di costruire un contenitore artigianale creando un aspetto paesaggistico più suggestivo.
Sfortunatamente non ho delle foto iniziali dell’abete, e l’unica che ho rintracciato risale nel 2000 che riprende l’abete in un pregevole vaso giapponese. La sua immagine è già accattivante, infatti possiamo ammirare il tronco parzialmente denudato fino alla base della pianta, dove si erge la parte scheletrica di un ginepro. Ed è proprio da questa immagine che diedi il nome all’abete rosso chiamandolo “Trinità”.
Nella sequenza successiva delle immagini, vediamo l’abete nel 2011 nel nuovo contenitore. Le due aree verdi appartenenti al ramo a forcella si sono infoltite notevolmente, creando delle masse vegetative “oltre misura”.
Ora l’abete necessitava di una nuova rimodellatura delle fronde. Forse non tutti sanno che l’abete tollera poco il rame, ed è per questo che io preferisco proteggere il filo con il nastro di carta adesivo, quello comunemente usato dai carrozzieri e dagli imbianchini. Così facendo, invece di proteggere i rami con la rafia proteggo il filo con la carta!
Questo mio sistema, -più volte osservato e ammirato durante le mie lavorazioni in pubblico- permette una lunga permanenza del filo sui rami rispetto a “quello nudo”.
Nella terza fase della sequenza delle immagini avvenuta nel mese di agosto di quest’anno 2014 durante la rimozione del filo e della riduzione delle fronde, abbiamo notato così che la permanenza del filo è stata di tre anni.
L’abete rosso è stato ripulito dei rametti esili eliminando anche gli aghi all’ascella dei rami e rametti; è stato concimato generosamente con fertilizzante organico ricco di Humus e di Acidi Umici, nebulizzato con fitofarmaci polivalenti, potando accuratamente anche il “paesaggio”.
Buona visione.

Abete rosso Trinità nel 1990

Rimodellatura dell'abete (1)

Rimodellatura dell'abete (2)

Rimodellatura dell'abete (3)

Rimodellatura dell'abete (4)

Rimodellatura dell'abete (5)

Rimodellatura dell'abete (6)

Rimodellatura dell'abete (7)

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Lo scrittore giornalista Mario Anton Orefice mi intervista.

http://corsadellanima.blogspot.it/2014/08/il-faggio-patriarca.html

martedì 19 agosto 2014
Il faggio Patriarca

Era un bambino quando allungava il braccio per indicare i ciliegi, i peri, i meli, i peschi in lontananza sulla collina. Per un’illusione prospettica sembrava che quegli alberi così piccoli crescessero sulla mano aperta verso il cielo. Le vacanze estive e pasquali dal nonno a Reseretta, a Tarzo, erano una continua scoperta: una nuova pianta, un insetto, un sentiero, una nuvola dalla forma strana.
Classe 1935, Armando Dal Col viveva a Longarone, dove mamma e papà avevano un negozio di frutta e verdura molto prima che l’ingegner Carlo Semenza progettasse la diga del Vajont. La tragedia andrà in scena alle 22.39 del 9 ottobre 1963. Quella sera Armando ritorna dalla Val Zoldana ed è diretto a Belluno dove abita con la famiglia e dove da qualche tempo per hobby coltiva degli alberi in miniatura. Passa a salutare i genitori intorno alle 21. La mamma lo invita a rimanere, è arrivata la sorella Silvana dalla Germania e c’è anche uno dei nipotini. È tardi, facciamo una di queste sere, non ti preoccupare, dice Armando, poi sale in macchina e riparte. Saprà il giorno dopo che sono tutti morti e ripenserà a quelle domeniche, quando con gli amici andavano a Erto e Casso, e i discorsi erano sempre gli stessi: Prima o poi il Toc viene giù, Se non è quest’anno è il prossimo.
I piccoli alberi diventano ancora più importanti e nel 1966, visitando la fiera Euroflora a Genova, scoprirà che il suo hobby è una delle discipline della filosofia zen, come il tiro con l’arco, la cerimonia del tè, la composizione di haiku, l’ikebana e le arti marziali.
Oggi Armando Dal Col è uno dei più importanti maestri bonsai in ambito internazionale: il debutto avviene nel 1986 quando con il suo faggio Patriarca lascia a bocca aperta la Nippon Bonsai Association che lo nomina “istruttore meritevole” e gli consegna il primo premio del concorso mondiale.
Lo aveva visto in una delle sue passeggiate nella foresta del Cansiglio: quel faggio, crivellato dai pallini dei cacciatori e schiacciato contro una roccia, stava morendo. Per cinque anni se ne prese cura, ogni tanto diceva: Vado a trovarlo, e la figlia meravigliata: Non è mica una persona!
A primavera tagliò la radice principale, quella che usciva dalla pietra e si infilava nel terreno: contò 200 anelli. L’anziano amico continuò a crescere con vigore finché un giorno … È difficile da spiegare, sentii che ero l’albero e l’albero era me. Anche il vaso in ceramica del Patriarca ha una storia particolare: il maestro vasaio della famiglia imperiale giapponese, visto il bonsai, predisse alla pianta un grande avvenire e pose tre condizioni per la creazione del vaso: nessun limite di tempo, di spesa, e nessuna interferenza sulla scelta della forma e del colore. Selezionò le argille più rare, pensò alla forma e alle sfumature, e infine lo modellò; il tempo della cottura fu di una settimana, di un mese quello del raffreddamento con fuoco d’erba; la consegna avvenne dopo tre anni.
Un pesco da frutto, una cidonia da fiore, una forsizia, un pino marittimo come sospinto da continue raffiche di vento, un nocciolo come spaccato dal fulmine, un boschetto di minilarici che sta in un abbraccio, e tanti altri piccoli alberi, più di cinquecento, vivono uno accanto all’altro nel Giardino della Serenità, in centro a Tarzo, poco distante dalla casa del nonno, a Reseretta. Armando e sua moglie Haina accolgono con un sorriso ospiti e allievi che arrivano da ogni parte del mondo. Accanto all’entrata, un pensiero: “Cerco il posto ideale dove indugiare, dove ascoltare il cinguettio degli uccelli e il rumore delle fronde scosse dal vento, dove cogliere l’essenza dello spirito del wabi-sabi: nulla dura, nulla è finito, nulla è perfetto.”
Pubblicato da Mario Anton Orefice a 09:09
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Foto fatte da Mario Anton Orefice (2)

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