Pino mugo dall’aspetto affascinante da modellare.
Non tutte le vecchie conifere hanno delle caratteristiche che attirano immediatamente la nostra attenzione, ma questo pino mugo ha un ramo apicale con una corteccia molto vecchia, jin e shari naturali e molto attraenti. Inoltre, la parte iniziale del tronco è piuttosto accattivante.
Pini mughi molto vecchi raccolti in natura con gravi difficoltà di sopravvivenza suscitano profondo rispetto trovandosi al loro cospetto.
Non è certo una scusante se tentiamo di “trasferire” in un vaso di coltivazione una di queste piante con un buon esito positivo, ripristinando una pianta sofferente riportandola a una nuova dignità di albero.
Questo pino mugo ha avuto un percorso riabilitativo durato alcuni anni, apportando delle tecniche specifiche che gli hanno permesso di migliorare il suo aspetto vegetativo, intervenendo nel contempo con dei successivi rinvasi che gli hanno permesso di creare un apparato radicale contenuto ricco di capillari attivi.
La pianta è pronta per essere modellata, e questa potrebbe essere una speciale occasione di studio coinvolgendo altre persone di talento realizzando dei virtual personali.
Ed ora vediamo alcune immagini di questo pino mugo visto nel mese di luglio 2014.
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Coniato una nuova specie di Cotoneaster dovuta ad una mutazione genetica.
VIROSI O MUTAZIONE GENETICA?
Coniato una nuova specie di Cotoneaster dovuta ad una mutazione genetica. Cotoneaster squamiformis A. Dal Col.
Armando Dal Col
Un paio di anni fa mentre osservavo un mio cotoneaster che trapiantai una decina di anni fa su un’area della mia collina, notai alcune anomalie fra i giovani rametti che si svilupparono in un modo inconsueto. Infatti, nello stesso ramo c’erano dei germogli squamati, i quali non sembravano per niente sofferenti nel loro progredire. Incuriosito, cercai di fare un paio di talee prelevando il rametto dalle squame molto pronunciate. Sfortunatamente le talee non attecchirono, ma con la primavera del 2013 altri rametti presentarono queste anomalie dal portamento squamato. Decisi perciò di margottare il rametto “più caratteristico”, il quale si presentava molto sano, con foglioline più piccole ma con il tronchetto e i rametti primari completamente piatti e squamati.
Dovetti attendere però la primavera di quest’anno (2014) per separare la margotta, la quale aveva prodotto sufficienti radici che garantivano la sopravvivenza del rametto. Trapiantai la margotta in un vasetto di plastica con un’alta percentuale di pomice, nebulizzando abbondantemente con acidi umici e fitostimolanti ormonali le radici, la parte aerea della piantina ed anche il terriccio. Dopo la separazione della margotta il cotoneaster non ha avuto problemi, sviluppandosi regolarmente mantenendo costantemente le caratteristiche squame sul tronco e sui rametti.
Dopo aver cercato inutilmente su internet se esisteva una specie di cotoneaster con queste caratteristiche, decisi di coniare questa piantina chiamandola “Cotoneaster squamiformis A. Dal Col”.
Ed ora alcune immagini della nuova specie.
Salvataggio di una mutazione di gemma su acero, mediante l’innesto per approssimazione.
Salvataggio di una mutazione di gemma su acero, mediante l’innesto per approssimazione.
Molte specie di alberi ed in particolar modo le caducifoglie, hanno la caratteristica di sviluppare dei germogli “anomali” rispetto alle caratteristiche principali della pianta madre; queste mutazioni prendono il nome di “Spot”. L’ibridatore professionista sempre alla ricerca di nuove specie e varietà, osserva i vari cultivar durante il periodo di maggiore spinta vegetativa, individuando eventuali mutazioni di gemma fra le varie specie di piante, ma anche altre caratteristiche come la resistenza alle malattie, vigoria vegetativa ed altre qualità che le rendono meno vulnerabili. E se si presenta una particolare ed affascinante mutazione cerca di salvarla tramite l’innesto o margottando il rametto, mettendo un legaccio con un’etichetta per identificarlo.
Nel mio caso più che cercare di salvare questo esile rametto dal fascino particolare cercando di innestarlo su un acero autoctono, ho preferito innestare l’intera branca che racchiude alcune mutazioni simili, utilizzando una giovane piantina di acero tridente fatta da seme, innestandola per approssimazione.
Ho dovuto creare un supporto per sostenere la piantina, dato che la zona da innestare si trova a un metro di altezza, e poiché dovrò trasferire l’apparato radicale in un vaso con maggior quantitativo di terriccio, il fusticino dell’acero dovrà trovarsi esattamente all’altezza della zona della branca dell’acero “Butterflay” per innestarlo per approssimazione.
Non è un aspetto molto professionale, ma il risultato è soddisfacente tenendo conto dello spazio a disposizione.
Confido nel successo dell’operazione, mantenendo in futuro la mutazione di gemma.
Ed ora alcune immagini delle operazioni svolte.
Foto 1. L’acero butterflay con un rametto completamente rosa. La delicatezza del fogliame bianco variegato suscita emozioni, ed il rametto rosato crea un delicato contrasto.
Foto 2. Ho conficcato nel terreno tre robusti bastoni, i quali faranno da supporto nel sorreggere la piantina in vaso.
Foto 3. La piantina di acero tridente che sarà utilizzata per l’innesto per approssimazione.
Foto 4. Prima di procedere con l’innesto, è necessario fissare il vaso ai bastoni affinchè rimanga ben saldo.
Foto 5. Una prova preliminare dove andrà eseguito l’innesto fra i due aceri.
Foto 6. Dopo aver preso le misure esatte, mi accingo a togliere una fettina di legno in entrambi i lati del tronchetto dell’acero tridente per poterlo fissare per approssimazione.
Foto 7. Questo è il momento più delicato, il fissaggio dei due bionti devono combaciare perfettamente, pena l’insuccesso dell’operazione.
Foto 8. Per fissare il tronco ho utilizzato il nastro isolante adesivo.
Foto 9. Spalmo della pasta cicatrizzante per proteggere le ferite onde evitare possibili perdite di linfa.
Foto 10. Sulla stessa branca sono ben visibili dei germogli con le foglie rosate, le quali formano un delicato contrasto con il restante fogliame bianco variegato. L’operazione è giunta a termine, ho coperto il terriccio con un paio di assicelle per mantenerlo sempre umido.
Foto 11. Con la crescita dei nuovi rami dell’acero tridente avverrà la saldatura della branca innestata, ottenendo così un apparato radicale robusto per questa nuova pianta. E se le mutazioni dei rametti rosati manterranno queste caratteristiche, otterrò un futuro Bonsai dall’aspetto grazioso e molto interessante. Ma anche il tronco dell’acero tridente innestato avrà un suo ruolo, infatti, lo utilizzerò con tutta probabilità in una forma prostrata o pseudo cascante.
Armando
Gruppo di veneziani in visita al Giardino Bonsai.
Profanato il Tempio della storia del Bonsai italiano.
Profanato il Tempio della storia del Bonsai italiano.
Un appello al “possessore” dei miei Bonsai che mi sono stati rubati durante il ponte del primo maggio.
Gentile “Possessore dei miei Bonsai”, desidero fornire alcuni accorgimenti affinchè le mie amate piante possano vivere nel miglior modo possibile. Infatti, mi dispiacerebbe moltissimo che entrassero in crisi fino a morire per non aver prestato loro le necessarie cure. E per questo descriverò alcune tecniche affinchè vivano nel migliore dei modi, mantenendo e migliorando il loro aspetto nei prossimi anni.
Un particolare accorgimento va fatto agli aceri (4), i quali soffrono parecchio se subiscono degli stress idrici prolungati. Ecco perché consiglio di appoggiare il Bonsai in vaso in un contenitore supplementare nel quale sarà riempito per 2/3 con della semplice pomice o lapillo vulcanico, interrando leggermente il vaso col Bonsai. Vedi l’esempio di uno dei quattro aceri che è stato asportato con il vaso supplementare perché probabilmente era uscita qualche radice. Infatti, questo stratagemma permette al Bonsai di rimanere sempre con i piedi al fresco.
A fine maggio tagliare il 50/70% delle foglie più grandi, in particolar modo per gli aceri palmati. L’acero campestre che ho fatto da seme e che in questi giorni ha compiuto 50 anni non necessita di defogliazioni, ma solo delle leggere spuntatine ai nuovi germogli eliminando qualche foglia più grande o rovinata. L’acero campestre è soggetto al mal bianco, per cui sarà necessario fare qualche trattamento anticrittogamico contro l’oidio, esponendolo maggiormente in una zona ventilata e leggermente soleggiata.
Il larice (se abiti in zone calde e pianeggianti), andrebbe appoggiato con il vaso sul tappeto erboso, e là dove c’è poca escursione termica fra il giorno e la notte, ne trarrà vantaggio se esposto in pieno sole (naturalmente appoggiato sul prato!). Le altre due conifere, fatti i soliti interventi di manutenzione non dovrebbero crearti grossi problemi, e così pure il carpino.
Confido nella tua sensibilità nel trattare bene le mie piante, confesso che ho una profonda nostalgia di loro, in particolar modo di due aceri di cui allego le immagini.
Acero campestre di 50 anni, fatto da seme.
Acero palmato di 40 anni, particolarissimo con un ramo rosso innestato.
Armando e Haina.
P.S. Nell’eventualità che tu possa avere dei problemi di coltivazione con i miei Bonsai potrai sempre restituirmeli. Non ti denuncerò, parola di Armando e Haina Dal Col.
http://www.giornalesentire.it/article/ecco-tutti-i-bonsai-rubati-al-maestro-armando-dal-col.html
Glicine premiato in Giappone.
Wisteria floribunda. Glicine in primo piano nel video super carico di grappoli fioriti; il video è stato ripreso questa mattina (19/03/2014) nel giardino museo Bonsai della serenità dei maestri Armando e Haina Dal Col. A giorni i grappoli fioriti si apriranno e sarà un vero spettacolo assistere a questa fioritura.
Faggio nello stile ventoso, lo step finale
Faggio spazzato dal vento: lo step finale.
Fagus sylvatica; dopo 25 anni di coltivazione è stato modificato lo stile definitivo di questo faggio: Fukinagashi (ventoso, spazzato dal vento).
Testo e foto di Armando Dal Col
Ciò che maggiormente colpisce lo stile ventoso è un Bonsai che potrebbe rappresentare in un albero un’indicazione di contro-equilibrio o di antigravità, a causa delle fronde mosse dal vento. Il Bonsai nello stile ventoso o “Fukinagashi” è senza dubbio una delle più drammatiche rappresentazioni della natura, è l’evocazione d’ambienti difficili dove regnano costanti i forti venti tipici delle coste scoscese, dove i tronchi degli alberi assumono forme arcuate, e così sono evidenti dei rami spezzati e parti denudate del tronco. E come non rimanere “turbati” nel vedere gli alberi piegarsi sotto l’infuriare dei violenti temporali estivi alimentati dai forti venti che possiamo tranquillamente vedere anche nelle città o nelle campagne. Infatti, sono proprio queste le occasioni che ci permettono di osservare gli alberi e specialmente le latifoglie sottoposte all’infuriare della tempesta. L’insieme dei rami con le voluminose fronde assumono un’unica direzione sospinti in continuazione da forti raffiche di vento in un movimento ondulatorio. E sono proprio le latifoglie rispetto alle conifere che trasmettono angosciosi momenti, ma anche “ammirazione” assistendo impotenti nostro malgrado alle forze della natura. Terminato il violento temporale, le latifoglie riassumono il loro aspetto naturale. Ecco perché non è facile mantenere visibile questo stile, specialmente quando una latifoglia è in piena vegetazione.
Ed ora passiamo alle immagini dello step finale nelle varie fasi del rinvaso nel nuovo contenitore, considerato più appropriato rispetto a quello precedente.
Dopo 25 anni di coltivazione di un Faggio, viene scelto lo stile ventoso.
Fagus sylvatica; dopo 25 anni di coltivazione è stato modificato lo stile definitivo di questo faggio: Fukinagashi (ventoso, spazzato dal vento).
Testo e foto di Armando Dal Col
Raccolsi questo faggio nel 1987 in un pascolo montano. La pianta era un piccolo ceppo con un secondo tronco alla base, ma con una vistosa cicatrice sulla parte bassa del tronco dovuta sicuramente allo zoccolo di un cavallo o dalle mucche che pascolavano abitualmente in quel luogo. E per questo calpestio casuale parte del tronco e della base della pianta era un po’ “massacrata”; decisi comunque di raccoglierla. Per diversi anni il faggio non ricevette un’impostazione vera e propria, se non quella di farlo sviluppare e infoltire il più possibile. All’inizio lo trapiantai in una cassetta di polistirolo, trasferendolo in un secondo momento in una sorta di lastra concava che feci con sabbia e cemento, successivamente lo trapiantai in un vaso di plastica per offrirgli una maggiore quantità di terreno alle radici.
Nel corso degli anni anche la base del secondo tronco iniziò a rinvigorirsi sempre più malgrado fosse stato successivamente capitozzato, tanto da sviluppare un secondo alberello ben ramificato e, verso la fine di novembre del 2012 decisi di impostare la pianta nello stile ventoso mantenendo quasi tutti i rami.
Ciò che maggiormente colpisce lo stile ventoso è un Bonsai che potrebbe rappresentare in un albero un’indicazione di contro-equilibrio o di antigravità, a causa delle fronde mosse dal vento. Il Bonsai nello stile ventoso o “Fukinagashi” è senza dubbio una delle più drammatiche rappresentazioni della natura, è l’evocazione d’ambienti difficili dove regnano costanti i forti venti tipici delle coste scoscese, dove i tronchi degli alberi assumono forme arcuate, e così sono evidenti dei rami spezzati e parti denudate del tronco. E come non rimanere “turbati” nel vedere gli alberi piegarsi sotto l’infuriare dei violenti temporali estivi alimentati dai forti venti che possiamo tranquillamente vedere anche nelle città o nelle campagne. Infatti, sono proprio queste le occasioni che ci permettono di osservare gli alberi e specialmente le latifoglie sottoposte all’infuriare della tempesta. L’insieme dei rami con le voluminose fronde assumono un’unica direzione sospinti in continuazione da forti raffiche di vento in un movimento ondulatorio. E sono proprio le latifoglie rispetto alle conifere che trasmettono angosciosi momenti, ma anche “ammirazione” assistendo impotenti nostro malgrado alle forze della natura. Terminato il violento temporale, le latifoglie riassumono il loro aspetto naturale. Ecco perché non è facile mantenere visibile questo stile, specialmente quando una latifoglia è in piena vegetazione.
Ed ora passiamo alle immagini nelle varie fasi di lavorazione del nostro faggio, iniziando da alcune foto in bianco e nero quale documentazione storica.
Foto 1. Anno 1990, il faggio era stato raccolto nel 1987 ed ha iniziato a rinvigorirsi notevolmente. Con la fresa applicata all’albero flessibile perfeziono la grossa ferita alla base del tronco provocata con tutta probabilità dal calpestio delle mucche.
Foto 2. Una potatura leggera alle fronde del faggio.
Foto 3. Il secondo tronco assumerà le sembianze di un alberello.
Foto 4. Mia moglie Haina pur non avendo ancora sufficiente esperienza con i Bonsai, Interviene potando alcuni rametti.
Foto 5. Haina ha dimostrato fin da subito l’interesse ad apprendere la tecnica e la filosofia del Bonsai, ispirandosi a Madre Natura.
Faggio foto 6. La pianta dopo alcuni anni di permanenza nella piccola cassetta di polistirolo la trasferii in questa lastra di pietra. Purtroppo le restrizioni in cui si trovava l’apparato radicale del faggio, aveva fatto sì che il secondo tronco subisse un grave colpo di secco rischiando la sopravvivenza della pianta stessa, così decisi di capitozzarlo.
Foto 7. Il faggio visto nel 2000 quando è stato rimosso dalla pietra per essere trapiantato in un contenitore da coltivazione.
Foto 8. Il faggio visto nel 2001. Dopo un anno dal trapianto è stato messo un robusto tirante a vite per verticalizzare la cima del tronco. Questa operazione avrei potuto evitarla pensando subito allo stile ventoso!
Foto 9. Marzo 2002, eseguo una prima impostazione dei rami.
Foto 10. Marzo 2003.
Foto 11. Il faggio nel 2004, in primo piano la vistosa cicatrice alla base del tronco.
In questa immagine viene evidenziato il secondo tronco munito di una discreta ramificazione, il quale sembra sorretto da un “pilastro” che in realtà è una radice cilindrica sviluppatasi verticalmente. All’epoca del calpestio delle mucche questa radice non era visibile superficialmente.
Foto 12. Marzo del 2005, sono state perfezionate le parti morte della pianta trattandole con il liquido per jin.
Foto 13. Il faggio è stato ripreso con l’avvenuta ripresa vegetativa.
Foto 14. Novembre 2012, decido di modellare il faggio nello stile ventoso.
L’attrezzatura è pronta, la prima cosa da fare è liberare la ramificazione dalle foglie ormai secche ed imminenti alla caduta.
Foto 15. Il faggio verrà fotografato da tutti i lati, questo permetterà di vedere la struttura della pianta a 360°.
Foto 16. Il faggio visto da un fianco laterale.
Foto 17. Un possibile fronte.
Foto 18. Roteando la pianta si riesce meglio a individuare la scelta del futuro fronte,
e questo sembra il più idoneo in quanto evidenzia lo shrarimiki naturale e una base ampia della pianta, per cui questo sarà il fronte A.
Foto 19. In questa foto, il tronco secondario del faggio sembra appeso sulla fiancata del tronco.
Foto 20. Si continua con la rotazione della pianta.
Foto 21. Questo potrebbe essere il fronte B.
Foto 22. La porzione scheletrica di un vecchio ramo.
Foto 23. Lo sharimiki provocato da una zampata di una mucca è quanto di più naturale ci si potrebbe aspettare!
Foto 24. Haina è in attesa di mettere il filo alla pianta.
Foto 25. Le foglie sono state tolte, così è più facile procedere sia con la fresatura che con l’applicazione del filo.
Foto 26. La fresa inserita nell’albero flessibile mi permette di lavorare con una maggiore precisione, modellando lo sharimiki.
Foto 27. Quando si usano frese di maggior diametro è preferibile usare la smerigliatrice elettrica che permette di premere con una maggiore pressione.
Foto 28. La parte morta è stata asportata arrivando fino al legno vivo.
Foto 29. Terminata la fresatura la pianta è stata abbondantemente lavata per eliminare gli scarti della lavorazione, dopodichè ho applicato il liquido per jin sulle parti morte lavorate.
Foto 30. Una leggera rotazione in senso orario evidenzia la base leggermente più ampia.
Foto 31. Inizio ad applicare il filo.
Foto 32. Le fronde mosse dal vento di una latifoglia evidenzia molto bene lo stile ventoso.
Foto 33. In questa stagione (25 novembre) i rami sono meno flessibili e facili alla rottura, per cui è necessaria una maggiore attenzione con l’applicazione del filo.
Foto 34. Haina interviene per applicare il filo al resto dei rami e rametti.
Invece di proteggere la corteccia con la rafia preferisco proteggere il filo applicando il nastro adesivo di carta; è un lavoro lungo e minuzioso avvolgere il nastro sul filo!
Foto 35. La delicatezza delle mani femminili danno una maggior sicurezza nell’avvolgere il filo sui rametti sottili senza causare danni.
Foto 36. Tutti i rami e rametti sono stati avvolti con il filo. Ora inizia la fase di modellatura nello stile ventoso.
Foto 37. Rami e rametti sono direzionati come se fossero sospinti da forti raffiche di vento.
Foto 38. Il lato B o secondo fronte possibile.
Foto 39. Il lato sinistro della pianta.
Foto 40. Il fronte scelto del faggio o lato A.
La prossima primavera verrà effettuato il rinvaso trasferendo il faggio in un vaso appropriato che valorizzi lo stile Fukinagashi, un contenitore pensato e creato da me.
Foto 41. Dicembre 2012. Copertura della base del faggio con il tessuto non tessuto, al fine di offrirgli una parziale protezione invernale.
Foto 42. Marzo 2013, il faggio è stato rimosso dal vaso di plastica per affrontare il rinvaso.
Foto 43. Si inizia con la rimozione parziale del terriccio dal pane radicale.
Foto 44. E’ necessario controllare attentamente il substrato radicale per verificare la quantità di radici che è possibile tagliare.
Foto 45. Si posiziona la pianta sulla pietra luna per verificarne l’effetto.
Foto 46. Sul fondo del contenitore è stato messo del terriccio adatto con l’aggiunta di humus più altri componenti.
Foto 47. In questa immagine, pietra luna e pianta inserita riproduce l’effetto di un ambiente severo dove gli alberi vengono plasmati dalla furia del vento.
Foto 48. Il rinvaso è stato completato creando nel contempo le tracce del paesaggio.
Foto 49. Entrambi i lati del faggio costituiscono un fronte ideale dettato dallo stile ventoso.
Foto 50. La primavera del 2013 piuttosto piovosa ha ritardato l’apertura delle gemme del faggio, per riesplodere con estremo vigore nell’arco di pochi giorni.
Foto 51. Eccolo infine fotografato nella nicchia del Tokonoma casalingo, dove saltuariamente espongo un Bonsai per essere maggiormente ammirato.
Foto 52. Agosto 2013, malgrado il caldo torrido di queste ultime settimane, il faggio mantiene la sua livrea di un bel colore verde pisello. Questo è dovuto in parte al mio stratagemma nell’usare un vaso supplementare per i miei Bonsai, così “i piedi” delle piante rimangono sempre al fresco.
Interpretazione di due faggi sloveni raccolti da Maurizio di Trieste con l’amico Miha.
Interpretazione di due faggi sloveni raccolti da Maurizio con Miha.
Lettura dei faggi a cura di Armando e Haina Dal Col
L’amico Maurizio di Trieste, mio estimatore, si era rivolto a me perché aveva un grande faggio molto ampio, con una chioma semi globosa e con dei robusti rami sul tratto iniziale del tronco. Poiché l’insieme era molto suggestivo nel periodo vegetativo, non lo era altrettanto nella fase spoglia; ma intervenire nella selezione dei rami non è una cosa semplice, poiché un errore di valutazione potrebbe portare al fallimento un materiale davvero promettente. Maurizio desideroso di migliorare il suo faggio, me lo portò la domenica mattina del 24 novembre scorso, accompagnato da suo figlio Martin e dal suo amico sloveno Miha appassionato di Bonsai. A dire il vero me ne portò due, il più piccolo –apparentemente insignificante nella sua struttura-, desiderava barattarlo in cambio con una mia pianta che io acconsentii. Ma dopo una lavorazione sommaria e piuttosto frettolosa, la trasformazione che feci al faggio anche – e soprattutto – con la visione immediata che ebbe mia moglie Haina che come si sa è la mia musa, il faggio subì una tale trasformazione che sbalordì tutti, così Maurizio decise di tenerselo molto stretto.
Il faggio grande non era di facile soluzione, e qui è stata necessaria una attenta lettura della pianta per poter procedere nei passi successivi. Scelto il fronte più idoneo del tronco, ho iniziato a ispezionare la base nascosta per verificare se anche questa poteva contribuire nella scelta che avevo deciso. E fu così infatti che venne alla luce una robusta radice nella giusta posizione, più un’atra di dimensioni inferiori. Stabilito il fronte e la posizione della pianta, iniziai a selezionare i rami modellandoli parzialmente dato che non avevamo abbastanza tempo a disposizione.
Le tecniche usate da me inventate mi hanno permesso di posizionare dei rami piuttosto rigidi e facili alla rottura senza provocare danni alla pianta e, se pur nel breve tempo, l’albero ha assunto un aspetto dinamico mantenendo la sua maestosità.
Ed ora la parola alle immagini, buona visione.
Betula verrucosa alba prima parte e seconda
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40 TAHUN MENYIKSA BONSAI “UBUR-UBUR” | bursabonsai.comwww.bursabonsai.comSEJARAH bonsai dari spesies Birch ini terlalu panjang untuk diceritakan. Di tanam dari biji pada 1966, kemudian mulai dibentuk –dengan pengawatan yang ‘mengerikan’– dan diabadikan dalam foto hitam-putih pada 1971.
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