Visitiamo il SEI WA BONSAI EN

Visitando il giardino museo Bonsai della serenità (Sei Wa Bonsai En) come si dice in giapponese, si rimane stupiti per la semplicità di come vengono accolti i visitatori. La straordinaria bellezza delle numerose specie di piante, prevalentemente della flora italiana e giapponese, sapientemente modellate nella loro forma riconducibile pur nell’estrema miniaturizzazione, invitano anche chi ha difficoltà ad avvicinarsi a questa disciplina.

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SUISEKI, ARTE O FILOSOFIA?

SUISEKI, ARTE O FILOSOFIA?
Le pietre testimoniano le bellezze della natura.

Suiseki Giano Bifronte in meditazione

Nato in Cina oltre 2000 anni fa, il Suiseki è una forma d’arte che si è “affacciata” in Italia solo da un paio di decenni prima della fine del secondo millennio, e così è avvenuto anche nel resto dell’Occidente. La raffigurazione del Suiseki rappresenta delle forme simboliche della natura.
Confesso che non ho una grande conoscenza della filosofia del Suiseki, pur essendomi interessato fin dal 1975 cercando di diffonderlo in Italia. Lo so che non esiste una sola verità, e di certo non voglio imporvi la mia; cercherò di coinvolgervi nella mia passione in punta di piedi, lasciando ad ognuno di voi la scelta d’accostarsi al fascino che le pietre suscitano. Non me ne vogliano i puristi del Suiseki per come li presento, li vedo e li sento a modo mio, e se vi ho portato fuori strada, vi prego di scusarmi.
La parola Suiseki è composta da due ideogrammi: Sui, che significa “acqua” e Seki che vuol dire “pietra”, e in origine la pietra veniva immersa in un vassoio senza i fori di drenaggio e dal colore che potesse richiamare l’acqua.
In seguito quest’uso venne meno, e si usò la sabbia fine e levigata per simboleggiare il liquido elemento che poteva simulare il mare, l’impetuoso torrente o il quieto lago. Attualmente per Suiseki si intende comunemente la pietra posta su un vassoio di ceramica (o di bronzo) molto basso e senza i fori di drenaggio che si chiama “Suiban”, oppure un supporto di legno o “Dai, Daiza”, modellato secondo il contorno della pietra stessa. Il vassoio Suiban o il supporto di legno per la pietra ha molte analogie con il vaso per il Bonsai, poiché entrambi rappresentano la continuità del paesaggio circostante del soggetto che vi viene posto.
Lo stesso Suiseki può cambiare “abito”, infatti, nelle calde giornate d’estate l’uomo e gli animali cercano di ripararsi all’ombra di un vecchio albero per godere della frescura, e così pure il Suiseki viene esposto in un Suiban contenente della sabbia fine, in quanto crea un’atmosfera più fresca. Viceversa, nel periodo invernale viene presentato nel Daiza, o base di legno, in quanto crea un ambiente più caldo.
La metafora appena descritta non è così assurda o fantasiosa come si potrebbe presumere: nel concetto, e nella parola stessa, Suiseki, è racchiuso un preciso simbolismo della filosofia Zen, simbolismo che fu un apporto giapponese a quest’arte.
Dopo circa seicento anni dalla sua nascita, infatti, il Suiseki fu importato in Giappone da alcuni monaci buddisti. E là dove in Cina le pietre-paesaggio erano soprattutto omaggio superstizioso a divinità piuttosto suscettibili, in Giappone divennero un ottimo strumento per divulgare le dottrine filosofiche del Buddismo Zen.
Acqua e pietra sono quindi rappresentazioni dei principi Yin e Yang, da cui tutto deriva e a cui tutto è riconducibile.
Yin è il principio femminile, e dunque l’acqua, e tutto ciò che è tenero, flessibile, umido, freddo, buio, ricettivo, concavo, interno e interiore.
Yang, principio maschile, è la pietra, e cioè calda, ruvida, solida, immutabile, solare, convessa, penetrante, esteriore. L’unione dei due princìpi è perfezione, eternità, divinità: tutto ciò a cui deve aspirare l’uomo saggio, e perciò è bene che gli sia ricordato che i simboli del Suiseki, con i quali peraltro può allenarsi alla meditazione, conducono alla ricerca interiore.
Ma per capire qualcosa in più del mondo ideale e idealizzato del Suiseki bisogna considerare che, a differenza del Bonsai, il materiale adoperato è assolutamente inerte, immutabile appunto, e che l’uomo non può e non deve in nessun modo intervenire sul “corpo” della pietra, ma solo sull’acqua (o sulla sua rappresentazione che è il piedistallo, meglio definito con il nome di “Daiza”). Infatti, l’unico intervento diretto sulla pietra può essere acconsentito solo nel taglio parziale di qualche spuntone roccioso presente sotto la base della pietra, questo per agevolare il lavoro della costruzione della base di legno, mentre la simulazione di cascate d’acqua, crepacci, valli devono essere fatti dalla natura, non dalla mano dell’uomo. E in questo piegarsi del legno alle linee della pietra sta il richiamo all’acqua che, per sua natura, si adatta appunto, in una sorta di abbraccio materno, alla solidità dell’elemento che vi viene posto. Così l’uomo, dovendo accontentarsi di cercare e trovare le pietre, pulirle dalle eventuali incrostazioni e sceglierne il lato migliore come futuro fronte, non dimentica la sua natura umile e imperfetta di fronte alla divinità, che è la vera artefice -e artista- del Suiseki.
Come per il Bonsai, comunque, anche qui esistono degli stili o meglio “chiavi di lettura” che ne regolano la forma con delle caratteristiche che ne rivelano il contenuto.
Gli stili o chiavi di lettura sono cinque; secondo il primo, la pietra deve chiamare alla memoria le sembianze di una montagna o un’isola. Il secondo è quello dello zoomorfismo o dell’antropomorfismo. Nel terzo la pietra ha una forma puramente astratta, particolarmente bella o curiosa. Il quarto comprende pietre composte da diversi minerali come il quarzo che può far apparire delle figure umane, o di animali, oppure dei fiori come la famosa “pietra crisantemo” o Kikkaseki presente in Giappone. Il quinto, raffigura semplicemente delle pietre colorate dalle forme interessanti.
Le quattro caratteristiche essenziali del Suiseki sono ancora espressione della filosofia Zen. Si tratta di Wabi, Sabi, Jugen e Shibui; con una traduzione inevitabilmente sommaria, – perché concetti filosofici sono sempre difficilmente trasportabili in altre lingue che non siano quella d’origine-. Potremmo definirli Modestia, Maturità, Mistero e Compostezza, ma anche Malinconia, Solitudine, Meditazione. Di queste qualità, almeno due devono essere presenti in un Suiseki per definirlo tale, secondo lo Zen. E di tutte, le più alte, preziose e desiderabili -nella pietra certo, ma naturalmente anche nell’uomo- sono la Modestia e la Maturità, che insieme danno una condizione (rara e insidiabile, perché vicina al mondo divino) che si potrebbe chiamare “profondità dello spirito”.

Foto 214, particolare del Ryoan-ji.

Il Tempio Ryoan-ji si trova a Kyoto, in Giappone e fu costruito nel 1450 secondo i codici della filosofia Zen dal famoso artista Soami.

Foto 218, storico Suiseki giapponese.

Storico Suiseki giapponese.
Questa pietra isola fa parte della storia del Suiseki in Giappone. Il vaso Suiban, molto antico, è appoggiato sopra un tavolino di ciliegio, e la pietra nera Palombino simula un’isola con l’altipiano, la quale “emerge” dalle acque del mare rappresentato dalla sabbia bianca.

Foto 220 A, storico Suiseki giapponese.

Pietra crisantemo o Kikkaseki giapponese.

Foto 217, Suiseki in un tempio cinese.

Cultura cinese, Suiseki in grandi vassoi di marmo.

Foto 220, Suiseki delle Dolomiti.

Foto 244, primo piano della montagna dolomitica.

Suiseki delle Dolomiti Bellunesi.
Veramente splendida questa pietra dolomitica che rappresenta il picco di una montagna.

Foto 221, Suiseki, culture a confronto.

Suiseki, culture a confronto.
La dama dell’800 ammira la pietra-paesaggio con una certa nobile ponderazione.
La pietra è qui presentata in un vassoio di bambù, riempito in parte con della sabbia di fiume.

Foto 222, montagna dei mari del nord.

Montagna dei mari del Nord.
La pietra è stata inserita in un Suiban ovale, e la posizione nel vaso rispetta le stesse regole come il Bonsai. La pietra ha un movimento dominante verso sinistra, per cui è stata posizionata nel vaso sul lato destro e in posizione decentrata.

Foto 227, Suiseki Giano Bifronte.

Suiseki, Giano Bifronte.
Anche questa pietra proveniente dalle Dolomiti Bellunesi fa parte del secondo stile, identificabile nel gruppo della chiave di lettura dello zoomorfismo e dell’antropomorfismo. Ed è curioso il fatto che la pietra abbia due fronti con una chiave di lettura facilmente identificabile.
Questo primo fronte può raffigurare un frate mentre prega o predica, ma io lo vedo meglio come Giano Bifronte, mitico re del Lazio, era figlio di Apollo e della Ninfa Creusa.

La Marmotta

Suiseki, la Marmotta,  o meglio il Suricato, animaletto “sentinella” appartenente alla famiglie delle Manguste. La faccia posteriore di Giano Bifronte.
E’ incredibile come una semplice pietra possa nascondere più facce. Infatti, il lato posteriore di questo Suiseki rivela le inconfondibili sembianze della simpatica Marmotta che, guardinga, osserva da dietro una roccia delle Dolomiti l’uomo che è entrato nel suo territorio.

Foto 230, Suiseki, montagna vista da lontano.

Foto 239, montagna dal fascino irresistibile.

Suiseki, montagna vista da lontano.
Questo Suiseki simula una montagna vista in lontananza con le sue ricche distese di vegetazione arborea. Ai confini del bosco misto, si espandono i verdi pascoli nella quiete pedemontana.

Foto 277, Suiseki, tempio pagoda.

Suiseki la Pagoda

Suiseki tempio pagoda.

Foto 283, Suiseki Boletus edulis.

Suiseki, “Boletus edulis” (fungo Porcino).
Da notare la straordinaria somiglianza di questa pietra con il buon fungo “Porcino”.

Foto 234, montagna del Colorado.

Montagna del Colorado.
In alcune aree del Colorado le montagne sembrano levigate dalle tormente di sabbia, assumendone anche la colorazione.

2, rifinitura del daiza

Tecnica nella costruzione del Daiza.

Larice abbarbicato sulla roccia nello stile Ishi-Zuki.

Larice abbarbicato sulla roccia nello stile Ishi-Zuki.

Esistono tre forme fondamentali di Bonsai su roccia: Ishi-Zuki, Insho Gata-Ishi e Sekijoju.
Lo stile Ishi Zuki simula uno scenario roccioso alpestre o marino, dove i venti e le acque plasmano sia le rocce che gli alberi, ma può rappresentare anche quieti paesaggi rocciosi.
In questo stile, il sistema radicale viene collocato nelle cavità della roccia stessa e poiché essa funge da contenitore è necessario farci stare il maggior quantitativo di terriccio possibile, poiché gli alberelli non andranno mai più rimossi.
E’ chiaro che la roccia prescelta deve avere “carattere” e movimento; questa, oltre a rappresentare uno scoglio, una montagna, un’isola, un litorale aspro e roccioso, una forma bizzarra o antropomorfa o un tronco bitorzoluto imponente, deve avere una dimensione adeguata per sostenere
una o più piante e che armonizzi con l’albero principale a cui è destinata.
La roccia come l’albero, ha una sua parte frontale che la rende particolarmente interessante, e così pure l’apice e gli altri lati che creino una
prospettiva tridimensionale. In ognuna di queste superfici di maggior interesse è preferibile evidenziare la nudità della roccia, lasciando ampie zone prive di vegetazione.
Pini, ginepri, larici, aceri, frassini, olmi, fichi, sono sicuramente gli alberi più adatti, ma molte altre sono le essenze usate negli stili su roccia.
Si potranno inserire in punti sparsi delle piantine secondarie, erbacee perenni adatte e vari tipi di muschi dai colori policromi in modo da formare un insieme armonioso e naturale.
Si procederà piantando l’albero principale già abbastanza formato, liberando le radici dal terriccio di coltivazione; la pianta deve avere un apparato radicale molto contenuto e forte. Prima di fissare definitivamente l’albero con il filo, va controllata la posizione considerando il fronte, la disposizione delle radici, l’inclinazione, la disposizione dei rami rispetto alla parete rocciosa, più altri elementi secondari, comunque facilmente modificabili.

La pianta presa in esame per questo ishi-zuki è un piccolo larice, mentre la pietra è pura dolomia che ben rappresenta un picco dolomitico.
Si è scelto un vaso basso ovale dove appoggiare la pietra, e poiché ha un aspetto verticale è stato necessario ancorarla per non farla cadere.
Questo ishi-zuki ebbe inizio il mese di ottobre del 2013, e con l’aiuto di mia moglie Haina l’abbiamo portato a termine.
Dopo un paio d’anni, lasciato libero di vegetare, in questi giorni di novembre l’ho ripreso per risistemare alcuni rametti, poiché nel frattempo si è ben consolidato sulla roccia.
Vediamo alcune immagini del primo step del 2013, ed altre nel 2015.
Buona visione da Armando e Haina.

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Pino mugo diviso in due mediante la separazione delle radici lavorato alla Giareda.

Pino mugo diviso in due mediante la separazione delle radici lavorato alla Giareda.
Testo e foto di Armando Dal Col

Settembre 2015 dimostrazine alla Giareda di Reggio Emilia (25)

Vale la pena riprendere questo post per seguirne l’evoluzione di uno dei due pini separati alla base della pianta madre, lavorato alla Giareda il 6 settembre 2015.
La storia di questo pino mugo è piuttosto recente, e quello che lo caratterizza sono le due forze opposte. Infatti, alla base del tronco sembra che si siano unite due piante, una con un unico tronco tendenzialmente prostrato munito di un palco terminale a “cuscino”, mentre l’altra si suddivide in più tronchi muovendosi in direzione opposta. Utilizzando tutta la pianta diventerebbe necessario selezionare dei rami per creare un Bonsai credibile ma anche contenuto, e questo farebbe cadere la scelta su una o l’altra direzione, sacrificando così dei rami importanti. L’idea nata fin dall’inizio era concentrata sulla possibilità di dividere il pino mugo alla base ottenendo due piante, e questo naturalmente senza pregiudicare la vita di entrambe. Ma le azioni da fare non sono così semplici come le idee, poiché dividere la pianta significa correre dei seri rischi per la sopravvivenza della stessa. Questo problema è stato affrontato anticipando il rinvaso del pino mugo prima che producesse troppe radici che avrebbero aumentato la difficoltà nel separarle. Infatti, dopo la rimozione della pianta dal grande vaso in cui era stato inserito due anni prima nel post espianto, Haina ed io ci siamo messi all’opera controllando meticolosamente l’apparato radicale e la sua possibilità nel dividere la pianta. Una grossa radice avvolgeva la base del ramo prostrato interessante, il quale era ancorato a sua volta con una robusta radice alla base dell’arbusto. Trepidanti e fiduciosi ci siamo messi all’opera per cercare di separare la pianta, ponendo la massima attenzione che entrambe fossero munite di sufficienti radici. E così avvenne!
Ed ora la parola alle immagini.

Pino mugo visto nel 2011, è stata parzialmente coperta la base della pianta per ridurre il quantitativo d’acqua a causa delle frequenti precipitazioni piovose.

Foto prima del rinvaso. Pino mugo fotografato in agosto del 2012 ad avvenuto attecchimento. Sono visibili dei robusti tiranti a vite per avvicinare due grossi rami.

Foto prima del rinvaso. La base del pino mugo offre la possibilità di dividere la pianta utilizzando due entità distinte.

Foto prima del rinvaso. La pianta vista nella sua interezza.
Foto 1. 15 aprile 2013, la pianta è stata svasata dal grande vaso che l’ospitava. Si notano delleradici sottili nella circonferenza perimetrale del substrato.

In questa immagine si ha la netta sensazione delle due forze opposte che esprime questo pino mugo.

L’immagine della pianta vista in questa angolazione non lascia dubbi, quale parte andrebbe rimossa tenendola integra?

La pianta madre si è “slegata” del figlio rimasto troppo a lungo avvinghiato. Ora è cresciuto sufficientemente per avere una vita autonoma.

La pianta è stata capovolta e appoggiata momentaneamente sul vaso per agevolare le infiltrazioni con ormoni fito radicanti, iniettati lungo l’asse della radice

Terminato il rinvaso, ho dovuto puntellare il tronco nella posizione desiderata. In questa immagine la contro conicità del tronco è assente, e questo sarà sicuramente il fronte più appropriato per il futuro Bonsai.

Ed ora alcune immagini della lavorazione del pino mugo che Haina ed io, abbiamo eseguito domenica 6 settembre alla Giareda di Reggio Emilia in occasione della mostra nazionale di Bonsai e Suiseki nella competizione Istruttori a confronto.
Enjoy

Mugo dal tronco doppio alla base (1)

Separazione delle radici del pino mugo (2)

Separazione delle radici del pino mugo (8)

Separazione delle radici del pino mugo (11)

Separazione delle radici del pino mugo (16)

Separazione delle radici del pino mugo (17)

Settembre 2015 dimostrazine alla Giareda di Reggio Emilia (1)

Settembre 2015 dimostrazine alla Giareda di Reggio Emilia (2)

Settembre 2015 dimostrazine alla Giareda di Reggio Emilia (3)

Settembre 2015 dimostrazine alla Giareda di Reggio Emilia (4)

Settembre 2015 dimostrazine alla Giareda di Reggio Emilia (5)

Settembre 2015 dimostrazine alla Giareda di Reggio Emilia (6)

Settembre 2015 dimostrazine alla Giareda di Reggio Emilia (7)

Settembre 2015 dimostrazine alla Giareda di Reggio Emilia (8)

Settembre 2015 dimostrazine alla Giareda di Reggio Emilia (9)

Settembre 2015 dimostrazine alla Giareda di Reggio Emilia (10)

Settembre 2015 dimostrazine alla Giareda di Reggio Emilia (11)

Settembre 2015 dimostrazine alla Giareda di Reggio Emilia (12)

Settembre 2015 dimostrazine alla Giareda di Reggio Emilia (13)

Settembre 2015 dimostrazine alla Giareda di Reggio Emilia (14)

Settembre 2015 dimostrazine alla Giareda di Reggio Emilia (15)

Settembre 2015 dimostrazine alla Giareda di Reggio Emilia (16)

Settembre 2015 dimostrazine alla Giareda di Reggio Emilia (17)

Settembre 2015 dimostrazine alla Giareda di Reggio Emilia (18)

Settembre 2015 dimostrazine alla Giareda di Reggio Emilia (19)

Settembre 2015 dimostrazine alla Giareda di Reggio Emilia (20)

Settembre 2015 dimostrazine alla Giareda di Reggio Emilia (21)

Settembre 2015 dimostrazine alla Giareda di Reggio Emilia (22)

Settembre 2015 dimostrazine alla Giareda di Reggio Emilia (23)

Settembre 2015 dimostrazine alla Giareda di Reggio Emilia (24)

Settembre 2015 dimostrazine alla Giareda di Reggio Emilia (25)

Settembre 2015 dimostrazine alla Giareda di Reggio Emilia (26)

Settembre 2015 dimostrazine alla Giareda di Reggio Emilia (27)

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Margotte di Acero tridente nelle fasi pre e post separazione.

Margotte di Acero tridente nelle fasi pre e post separazione.

Queste margotte sono state preparate per un periodo di tre anni da piccoli rami che uscivano dal tronco dell’acero. La ramificazione compatta e piacevole alla vista dava la sensazione di vedere in questi rametti degli pseudo alberelli. Ecco perché in gennaio di quest’anno 2015 decisi di praticare la margotta ai rami. La difficoltà di margottare il tronchetto alla base era piuttosto difficoltosa in quanto non c’era lo spazio necessario per praticarla con la solita tecnica a “caramella”, ecco perché ho scelto la tecnica del passante utilizzando delle giovani piantine fatte da seme.
A fine agosto e cioè oggi 27.08- 2015, delle cinque margotte che feci in gennaio, ben quattro erano pronte per la separazione. Vediamo alcune fasi della lavorazione con l’avvenuta separazione delle 4 margotte.
Enjoy!

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2015,il Faggio Patriarca ha compiuto 240 anni!

Anno 2015, il Faggio Patriarca di Armando Dal Col ha compiuto 240 anni!
Un invito alla popolazione a visitare il Giardino museo Bonsai della serenità ubicato nel centro storico di Tarzo dei maestri Dal Col.

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Questo è il famoso Faggio “Patriarca”, campione del mondo nel 1986 in Giappone, pluripremiato dalla Nippon Bonsai Association (NBA), la massima autorità mondiale del Bonsai.
Il Faggio proviene dalla provincia di Belluno dov’era cresciuto in mezzo a dei grossi massi, le cui condizioni di vita erano ridotte al limite estremo della sopravvivenza.
Attaccato dai cacciatori (il tronco verso l’apice della pianta era semi putrefatto a causa dei numerosi pallini da carabina che si erano conficcati nel legno).
Il faggio fu scoperto nel 1970; è stato potato drasticamente sul luogo di crescita per ridurne le dimensioni, ripulito dalle infestanti, nutrito e curato per ben 5 anni sul posto e, successivamente, espiantato dopo aver constatato una sua incredibile ripresa vegetativa.
Dal conteggio degli anelli di crescita annuale avvenuto nel 1975 all’epoca dell’espianto, il numero complessivo risultava di ben 200 anelli, e così nel 2015 il Faggio ha compiuto la veneranda età di 240 anni!
Il faggio, nel corso degli anni ha subìto diversi interventi: è stato ripulito, potato, scalpellato, innestato, legato con il filo e con i tiranti; ora è ritornato in vita, anzi alla vita stessa, conquistando la dignità di albero entrando a buon diritto nella storia del Bonsai in Italia, riconosciuto in tutto il mondo collocandolo fra i grandi capolavori dei Bonsai occidentali.

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Il Faggio ai vertici della classifica mondiale.

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il Faggio Patriarca  nel 2015 ha compiuto  240 anni (4)

WEEK END NEL GIARDINO CON VISITE GUIDATE

VISITE GUIDATE NEL GIARDINO MUSEO BONSAI.
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Week End dedicato alle visite guidate nel Giardino Museo Bonsai della serenità dei maestri Armando e Haina Dal Col.

Le temperature di questi giorni hanno permesso alle piante di “vestirsi” con il loro abito più bello, per presentarsi nel miglior modo possibile ai numerosi visitatori che in questo particolare periodo dell’anno frequentano il giardino Bonsai.
Le numerose specie presenti nel museo creano un effetto visibile di straordinaria bellezza, momenti questi che i coniugi Dal Col condividono con tutti gli appassionati di questa nobile Arte Orientale.